…ancora sul Reg. di esecuzione UE n.775/2018

Avv. Valeria Pullini

Riprendiamo qui l’esame dei principali aspetti relativi all’obbligo di indicazione di origine, già iniziato nel nostro precedente contributo di qualche giorno addietro.

Ci eravamo lasciati presentando l’ambito di applicazione del regolamento di esecuzione UE n.775/2018, ed ora proseguiamo con altri punti.

 

1.2. I livelli geografici da riportare ai fini dell’indicazione d’origine dell’ingrediente primario

L’indicazione del Paese d’origine o del luogo di provenienza di un ingrediente primario, che non è lo stesso Paese d’origine o luogo di provenienza indicato per l’alimento, viene fornita:

  1. a) con riferimento a una delle seguenti zone geografiche:
  2. i) «UE», «non UE» o «UE e non UE»; o
  3. ii) una regione o qualsiasi altra zona geografica all’interno di diversi Stati membri o di paesi terzi, se definita tale in forza del diritto internazionale pubblico o ben chiara per il consumatore medio normalmente informato; o

iii) la zona di pesca FAO, o il mare o il corpo idrico di acqua dolce se definiti tali in forza del diritto internazionale o ben chiari per il consumatore medio normalmente informato; o

  1. iv) uno o più Stati membri o paesi terzi; o
  2. v) una regione o qualsiasi altra zona geografica all’interno di uno Stato membro o di un paese terzo, ben chiara per il consumatore medio normalmente informato; o
  3. vi) il Paese d’origine o il luogo di provenienza, conformemente alle specifiche disposizioni dell’Unione applicabili agli ingredienti primari in quanto tali.

Per comprendere il significato della disposizione di cui alla predetta lettera vi), si fa riferimento al considerando 12 del medesimo regolamento esecutivo, ove si trova esplicato che, qualora un ingrediente primario sia un alimento oggetto di specifiche disposizioni dell’Unione in materia di indicazione del Paese d’origine o del luogo di provenienza (si pensi, ad esempio, alle disposizioni di etichettatura d’origine obbligatoria per la carne bovina ai sensi del Reg. CE n. 1760/2000 e ss.mm.), tali disposizioni specifiche possono essere utilizzate alternativamente ad uno dei sopra riportati livelli geografici.

  1. b) oppure attraverso una dicitura del seguente tenore: «(nome dell’ingrediente primario) non proviene/non provengono da (Paese d’origine o luogo di provenienza dell’alimento)» o una formulazione che possa avere lo stesso significato per il consumatore.

In ordine al caso di cui alla lettera b), gli operatori del settore alimentare possono decidere di indicare solamente il Paese d’origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario come diverso da quello dell’alimento, per esempio a causa della molteplicità e variabilità delle fonti di approvvigionamento e di particolari processi di produzione.

  1. Criteri per l’individuazione del Paese di origine o del luogo di provenienza

Nello specifico settore alimentare, il Regolamento (UE) n. 1169/2011 prevede le definizioni di Paese d’origine o luogo di provenienza:

“Paese d’origine” (art. 2, parag. 3): “si riferisce all’origine di tale prodotto, come definita conformemente agli articoli da 23 a 26 del regolamento (CEE) n. 2913/92” [richiamo al codice doganale del 1992, ormai abrogato (già Reg. CEE n. 2913/92, poi sostituito dal Reg. CE n. 450/2008 e oggi sostituito dal Reg. UE n. 952/2013 che istituisce il codice doganale dell’Unione)].

“Luogo di provenienza”(art. 2, parag. 2, lett. g): “qualunque luogo indicato come quello da cui proviene l’alimento”, ma che non è il «Paese d’origine» come individuato ai sensi Codice doganale dell’Unione.

In tale contesto, la definizione del Paese di origine di un bene si basa sulle disposizioni europee in materia di origine non preferenziale della merce.

Il Reg. UE n. 952/2013, che istituisce il Codice Doganale dell’Unione, all’art. 60, stabilisce che:

Le merci interamente ottenute in un unico Paese o territorio sono considerate originarie di tale paese o territorio. E’ questo il caso in cui l’intero processo di lavorazione avviene all’interno di un singolo Paese.

Le merci alla cui produzione contribuiscono due o più Paesi o territori sono considerate originarie del Paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione. In tale ambito, vi sono vari criteri di individuazione della lavorazione sostanziale (es. cambio di voce doganale).

 

  1. L’ingrediente primario: definizione e problematiche interpretative

Il Reg. (UE) n. 1169/2011, all’articolo 2, paragrafo 2, lettera q), definisce l’ingrediente primario come: «un ingrediente o gli ingredienti di un alimento che rappresentano più del 50%  di tale alimento o che sono associati abitualmente alla denominazione dell’alimento dal consumatore e per i quali nella maggior parte dei casi è richiesta un’indicazione quantitativa »

Si parla, perciò, di un criterio quantitativo (l’ingrediente rappresenta più del 50% dell’alimento, in termini di quantità) e di un criterio qualitativo (associazione dell’ingrediente alla denominazione dell’alimento da parte del consumatore e sussistenza, nella maggior parte dei casi, dell’obbligo di riportare il QUID).

Allo stato attuale in cui le linee guida UE non sono ancora state emanate, pare che nell’individuare l’ingrediente primario, l’OSA debba prestare particolare attenzione ai seguenti aspetti:

– la composizione del prodotto alimentare;

– l’intera presentazione dell’etichetta;

– la percezione del consumatore rispetto al fatto che l’ingrediente sia associato al nome dell’alimento.

La flessibilità inserita dal termine “o” nella definizione normativa di ingrediente primario, non dovrebbe conferire, dunque, all’OSA una completa libertà di scelta, dovendo egli valutare quale sia l’ingrediente primario nell’ottica del consumatore (sul punto, è stato fatto l’esempio della birra, dove l’ingrediente primario da un punto di vista quantitativo è l’acqua. Tale ingrediente, tuttavia, non è di interesse per il consumatore che, quando vuole sapere l’origine degli ingredienti della birra, penserà al luppolo; lo stesso dicasi per un prodotto costituito da carciofini sott’olio, dove l’olio vegetale costituisce l’ingrediente quantitativamente preponderante, che supera spesso il 50% in peso, ma la cui origine non è d’interesse per i consumatori, i quali vorranno piuttosto conoscere l’origine dei carciofini; e così via).

La definizione sopra riportata offre spazio per ritenere che l’ingrediente primario possa essere anche più di uno: “un ingrediente o gli ingredienti di un alimento…”.

L’esempio che è stato fatto è quello di uno yogurt alla fragola, dove l’ingrediente primario quantitativo è il latte e quello qualitativo è la fragola.

Avuto riguardo agli aspetti da considerare, sopra elencati, l’OSA potrà essere condotto a ritenere che entrambi tali ingredienti siano da reputarsi “primari”, nel qual caso si dovrebbe ritenere, sino ad orientamenti contrari in sede europea, che l’indicazione di origine o provenienza debba essere riportata per entrambi.

Così come appare possibile che non si individui alcun ingrediente primario dell’alimento.

Ciò può avvenire nelle seguenti circostanze:

  • l’ingrediente primario non rappresenta più del 50% dell’alimento e
  • gli ingredienti dell’alimento non possono essere associati al nome dell’alimento da parte del consumatore.

Esempi portati in tal caso sono quelli di prodotti quali muesli, macedonie di frutta, minestroni, dove nessuno degli ingredienti soddisfi il criterio quantitativo né quello qualitativo (non il singolo cereale nel muesli, non il singolo frutto nella macedonia, non il singolo ortaggio nel minestrone rappresentano più del 50% del prodotto, né è in grado di essere associato all’intero alimento pluringrediente da parte del consumatore).

Il tal caso, la conseguenza dovrebbe essere l’assenza dell’obbligo di indicare l’origine dell’ingrediente, non certo quella di doverla indicare per tutti.

Molti altri sono gli aspetti problematici inerenti l’interpretazione del regolamento qui in esame, che pongono la primaria questione se ritenere sussistente l’obbligo ex art. 26, paragrafo 3, del Reg. (UE) n. 1169/2011 qualora i riferimenti geografici riguardino:

 

  • l’OSA responsabile ai sensi dell’art. 8, paragrafo 1, del medesimo regolamento;
  • i marchi/nomi commerciali diversi dai marchi registrati;
  • la denominazione legale dell’alimento;
  • le indicazioni quali “imballati in”/”prodotto da x per y” seguita, oltre che dal nome dell’OSA, anche dal suo indirizzo;
  • l’uso di simboli nazionali o colori di bandiere sull’etichetta,

e molto altro ancora, oggetto necessariamente di una valutazione che andrà condotta caso per caso.

 

Articoli correlati

Inizia a scrivere il termine ricerca qua sopra e premi invio per iniziare la ricerca. Premi ESC per annullare.

Torna in alto