Certificazioni volontarie del mercato alimentare tra strategie commerciali, organizzazione aziendale, sicurezza alimentare

avv. Giovanna Soravia

La presentazione dei prodotti alimentari ai fini della loro commercializzazione e vendita al consumatore deve osservare le prescrizioni vigenti in materia, rispondere a determinati requisiti ed essere conforme alla normativa specifica, così come devono essere rispettate le prescrizioni in materia di igiene e sicurezza alimentare.

Vendere di più, e vendere meglio, soprattutto se si punta al mercato internazionale, significa però anche fare i conti con la concorrenza e con le sempre crescenti aspettative del consumatore in termini non solo, strettamente, di qualità e di prestazioni organolettiche del prodotto finale, ma anche di affidabilità e reputazione dell’azienda, sistemi di produzione, attenzione alla sicurezza alimentare e sensibilità verso l’ambiente.

Diventa importante, dunque, per le imprese del settore alimentare che vogliono soddisfare tali aspettative, adempiere gli obblighi imposti dalle norme e riuscire a valorizzare non solo i prodotti posti in commercio ma anche la propria realtà aziendale e i propri punti di forza organizzativi e di sistema.

A tale scopo contribuiscono le certificazioni volontarie, rilasciate da un ente terzo indipendente (organismo di certificazione), che possono essere distinte in certificazioni volontarie di prodotto (enunciano la piena rispondenza del prodotto ai requisiti tecnici specifici previsti e richiesti da determinate normative di settore, a determinati standard) e certificazioni volontarie di sistema (enunciano la capacità organizzativa dell’impresa di adattarsi e svilupparsi continuamente per il soddisfacimento dei bisogni del cliente).

Sulla base delle proprie caratteristiche strutturali e organizzative, della qualità dei propri prodotti e sulla base dei propri obiettivi e strategie commerciali, ciascuna impresa se vuole può individuare lo standard di riferimento e la certificazione che ne attesti la piena conformità.

Ci soffermeremo, qui, in una breve descrizione degli standard e delle certificazioni volontarie di prodotto, utilizzabili nel settore alimentare.

Per quanto riguarda la Grande Distribuzione Organizzata, l’organismo di riferimento è il Global Food Safety Initiative (GFSI) che elabora e approva gli standard internazionali in materia di sicurezza alimentare che essenzialmente si basano sui principi stessi del sistema Haccp, con le necessarie integrazioni e revisioni coerentemente con l’evoluzione del mercato.

Tra questi standard rientrano:

  • BRC Food: rilasciato dal British Retail Consortium, da cui prende il nome, il Consorzio privato per la GDO del mercato anglosassone, utile soprattutto per le aziende che intendono esportare in Regno Unito, Australia, USA.
  • IFS Food (International Food Standard): richiesto soprattutto dal mercato francese e tedesco, per i prodotti confezionati, è ormai diffuso anche in altri Paesi e sostanzialmente equiparato al BRC Food.
  • FSSC 22000 (Foundation Food Safety System Certification 22000): i requisiti sono insieme quelli della norma ISO 22000 e della norma ISO 22002 ed è utile in termini di gestione della sicurezza alimentare.
  • Global GAP (Good Agricultural Practice): riconosce l’utilizzo delle buone pratiche di produzione nelle aziende agricole e negli allevamenti zootecnici e ittici, con attenzione alla sicurezza alimentare, alla sostenibilità ambientale e alla responsabilità sociale.

Ricordiamo, poi, tra le certificazioni di gestione della qualità ISO, la Certificazione ISO 22005 finalizzata a garantire massimi livelli di sicurezza e tracciabilità alimentare, e a dare ai consumatori le informazioni di tutta la filiera.

Infine, la tendenza di una sempre maggiore attenzione per consumatori che evitano alcuni alimenti o ingredienti, o che acquistano solamente alcuni prodotti, ha portato le imprese a elaborare ulteriori standard per valorizzare e comunicare ulteriori particolari qualità o caratteristiche, rispondenti a principi etici, religiosi, ambientali e salutistici.

Ad esempio, ricordiamo le Certificazioni Religiose (Kosher e Halal) che rispondono ai requisiti della religione ebraica e di quella musulmana; la Certificazione Biologica, che consente l’utilizzo del logo europeo, per la quale occorre fare riferimento alla copiosa normativa in materia di produzione biologica oggetto, nei mesi scorsi, di importanti novità legislative soprattutto a livello europeo; la Certificazione Vegana (per alimenti che rispettano i dettami del Veganesimo in ordine all’esclusione di alimenti di origine animale, e alla promozione della tutela dell’ambiente e del benessere animale).

Infine, lo scorso mese di marzo è entrato in vigore il REGOLAMENTO (UE) 382/2021 DELLA COMMISSIONE che ha modificato il noto Reg. n.852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari; in particolare il nuovo Regolamento “Tenuto conto della revisione della norma globale[1] e del fatto che i consumatori e i partner commerciali si aspettano che gli alimenti prodotti nell’UE rispettino quantomeno tale norma globale, è necessario introdurre requisiti generali relativi alla cultura della sicurezza alimentare nel regolamento (CE) n. 852/2004” (Considerando n.8)

Viene dunque introdotto, al Reg. n.852/2004, un Capitolo XI bis dedicato alla “CULTURA DELLA SICUREZZA ALIMENTARE” che così prevede:

“1. Gli operatori del settore alimentare devono istituire e mantenere un’adeguata cultura della sicurezza alimentare, e fornire prove che la dimostrino, rispettando i requisiti seguenti: a) impegno da parte della dirigenza, conformemente al punto 2, e di tutti i dipendenti alla produzione e alla distribuzione sicure degli alimenti; b) ruolo guida nella produzione di alimenti sicuri e nel coinvolgimento di tutti i dipendenti in prassi di sicurezza alimentare; c) consapevolezza, da parte di tutti i dipendenti dell’impresa, dei pericoli per la sicurezza alimentare e dell’importanza della sicurezza e dell’igiene degli alimenti; d) comunicazione aperta e chiara tra tutti i dipendenti dell’impresa, nell’ambito di un’attività e tra attività consecutive, compresa la comunicazione di deviazioni e aspettative; e) disponibilità di risorse sufficienti per garantire la manipolazione sicura e igienica degli alimenti.

  1. L’impegno da parte della dirigenza deve comprendere le azioni seguenti: a) garantire che i ruoli e le responsabilità siano chiaramente comunicati nell’ambito di ogni attività dell’impresa alimentare; b) mantenere l’integrità del sistema di igiene alimentare quando vengono pianificate e attuate modifiche; c) verificare che i controlli vengano eseguiti puntualmente e in maniera efficiente e che la documentazione sia aggiornata; d) garantire che il personale disponga di attività di formazione e di una supervisione adeguate; e) garantire la conformità con i pertinenti requisiti normativi; f) incoraggiare il costante miglioramento del sistema di gestione della sicurezza alimentare dell’impresa tenendo conto, ove opportuno, degli sviluppi scientifici e tecnologici e delle migliori prassi. 3. L’attuazione della cultura della sicurezza alimentare deve tenere conto della natura e delle dimensioni dell’impresa alimentare”.

 

[1] La commissione del Codex Alimentarius, lo scorso settembre 2020, ha revisionato la sua norma globale General Principles of Food Hygiene (Principi generali in materia di igiene alimentare, CXC 1-1969), introducendo, nella sua nuova versione, la nozione di «cultura della sicurezza alimentare» quale principio generale.

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