avv. Valeria Pullini
Questo è l’ambito nel quale l’AGCM, di recente, ha inserito una sua nuova pronuncia in tema di modalità di indicazione di determinate diciture obbligatorie ex lege nell’informazione sugli alimenti al consumatore.
Si tratta del provvedimento n. 28274/2020, emesso ad esito di un’istruttoria avente ad oggetto una barretta di cioccolato, presentata come “extra fondente 75%”.
In particolare, come riportato nella pronuncia suddetta, l’impresa aveva promosso e commercializzato tale barretta di cioccolato fondente ove, sulla parte frontale dell’etichetta, era presente il claim “75% ricoperto farcito cuor di cacao”, accompagnato da un pittogramma costituito da un bollino di forma circolare recante la percentuale “75%”, corredata dalla dicitura “barretta … extra fondente – cocoa 75%”.
Sul retro della confezione, prima della lista degli ingredienti, venivano forniti i dati relativi al peso, sul prodotto finito, delle varie componenti della barretta e al relativo contenuto percentuale di cacao, nel seguente modo:
“ripieno al cacao 54% (cacao nel ripieno: 23%)”, “ricoperto di cioccolato fondente 27% (cacao 56% min.) e granella di cioccolato extra fondente 19% (cacao: 75% min.)”.
Quindi, la percentuale del 75% compariva con riferimento alla sola granella di cioccolato, che costituiva il 19% della barretta.
Nel proprio giudizio di scorrettezza della pratica commerciale di cui si tratta, l’Antitrust ha sostenuto che la circostanza per la quale le indicazioni sull’effettiva percentuale di cacao presente nella barretta siano riportate sul retro della confezione non è sufficiente a sanare l’equivoco ingenerato nel consumatore nella fase d’impatto, in considerazione:
– dell’enfasi volutamente attribuita all’informazione concernente la percentuale di cacao,
– posta con grande risalto sulla parte frontale della confezione del prodotto commercializzato.
Perché è intervenuta l’Antitrust nello specifico caso
Tra le proprie competenze, l’AGCM svolge un’azione finalizzata a contrastare le pratiche commerciali scorrette nei confronti dei consumatori e delle microimprese.
Per pratica commerciale scorretta si intende una pratica commerciale contraria alla diligenza professionale, falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta (D. Lgs. 146/2007).
All’art. 18 del codice del consumo si trova la definizione di “diligenza professionale”, intesa come il normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti, rispetto ai principi generali di correttezza e di buona fede nel settore di attività del professionista.
Per l’Antitrust, quindi, a cui compete svolgere valutazioni di scorrettezza delle pratiche commerciali tra professionisti e consumatori alla luce delle norme del codice del consumo, una pratica commerciale è scorretta quando è in grado di orientare indebitamente le scelte dei consumatori, falsandone in modo apprezzabile il comportamento al punto da indurli in errore, facendo loro assumere, con riguardo ai propri diritti, una decisione di natura commerciale che non avrebbero altrimenti preso e che, come tale, risulta scorretta ai sensi del predetto codice del consumo.
Nel caso specifico, l’Autorità ha ritenuto che “l’enfasi attribuita alla misura percentuale di un ingrediente (il cacao), attraverso l’indicazione “75% ricoperto farcito cuor di cacao”, presente sul frontpack dell’alimento, seguita da un pittogramma che riporta la medesima percentuale (75%) e la dicitura “barretta chocaviar extra fondente – cocoa 75%” – in assenza di ulteriori specificazioni, contestuali e di pari evidenza grafica, circa l’effettiva consistenza della percentuale di cacao contenuta nel prodotto – inducono il consumatore medio a ritenere erroneamente che la vantata percentuale di cacao sia riferita al prodotto nel suo complesso, anziché solo al suo involucro esterno (le microsfere che costituiscono la granella). Ne consegue che il consumatore medio è tratto in inganno in relazione a una caratteristica essenziale del prodotto che intende acquistare ed è indotto, pertanto, ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”.
Non è sufficiente, dunque, riportare in etichetta le indicazioni richieste dalla legge (in questo caso, il D. Lgs. n. 178/2003, recante attuazione della direttiva 2000/36/CE relativa ai prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana), ma occorre anche avere particolare riguardo alle modalità con cui tali indicazioni vengono espresse e poste a disposizione del consumatore, così come alla relativa disposizione in etichettatura.
Si ricorda, a tale proposito, quanto stabilito all’art. 13 del Reg. (UE) n. 1169/2011: le informazioni obbligatorie sugli alimenti sono apposte in un punto evidente in modo da essere facilmente visibili, chiaramente leggibili ed eventualmente indelebili. Esse non sono in alcun modo nascoste, oscurate, limitate o separate da altre indicazioni scritte o grafiche o altri elementi suscettibili di interferire.
E non può certamente mancare un riferimento all’art. 7 del medesimo regolamento, dedicato alle pratiche leali d’informazione, norma cardine di tutta la legislazione europea alimentare in materia di informazioni al consumatore, il quale, nello stabilire che le informazioni sugli alimenti devono essere precise, chiare e facilmente comprensibili per il consumatore, fa divieto di induzione in errore a mezzo delle informazioni, in particolare, tra l’altro, per quanto riguarda le caratteristiche dell’alimento.
Peraltro, la circostanza per la quale un’errata o irregolare modalità espressiva delle indicazioni obbligatorie sugli alimenti fornite al consumatore possa integrare un’ipotesi di pratica commerciale scorretta non è affatto nuova.
Sul punto, anche la Corte di Giustizia UE ha avuto modo di pronunciarsi alcuni anni or sono.
Breve cenno alla sentenza Teekanne della Corte di Giustizia dell’UE in causa C-195/14
Si tratta di una pronunzia di cui si è già avuto modo di parlare in queste pagine.
Qui torna alla memoria in quanto si inserisce perfettamente nel tema trattato, pur riguardando un caso parzialmente diverso da quello attuale.
Il principio della lealtà o correttezza nelle pratiche di informazione sugli alimenti al consumatore (sempre inteso come consumatore medio) è bene espresso in tale precedente giurisprudenziale, ove la Corte ha statuito che l’elenco degli ingredienti, anche se esatto ed esaustivo, può essere inadeguato a correggere in maniera sufficiente l’impressione errata o equivoca risultante dall’etichettatura del prodotto.
Il diritto dell’UE, infatti, impone che l’acquirente disponga di un’informazione corretta, imparziale e obiettiva, che non lo induca in errore e che l’etichettatura di un prodotto alimentare non debba presentare un carattere ingannevole.
Sebbene si presuma che il consumatore legga l’elenco degli ingredienti prima di acquistare un prodotto, la Corte non esclude che l’etichettatura del prodotto possa essere tale da indurre l’acquirente in errore qualora alcuni elementi dell’etichettatura siano mendaci, errati, ambigui, contraddittori o incomprensibili.