Integratori botanicals: claims sulla salute – La sentenza del Consiglio di Stato n. 2371/2020 in causa AGCM/Named spa

 

avv. Valeria Pullini

 

Merita visibilità la recente sentenza del Consiglio di Stato n. 2371/2020, dove l’AGCM, in causa contro una società di diritto privato, la Named Spa, è stata dichiarata soccombente (per la seconda volta, dopo la vittoria di Named anche nel precedente grado di giudizio avanti al TAR Lazio).

Si tratta di una pronuncia particolarmente lunga, contenente una motivazione molto dettagliata, che non necessita quindi di particolari commenti, se non l’estrapolazione dei punti fondamentali, valevoli ad orientare non solo gli operatori del settore alimentare (integratori vegetali e/o a base di vegetali, nel caso specifico), ma anche gli operatori del diritto nella più corretta interpretazione delle norme europee e degli orientamenti nazionali (in area non ancora armonizzata) in materia di claims sulla salute.

Di seguito, i fatti.

L’Antitrust ha impugnato avanti al Consiglio di Stato la sentenza del TAR Lazio n. 11119/2015 con la quale era stato accolto il ricorso dalla Named S.p.a. avverso il provvedimento dell’AGCM n. 25087/2014, con cui era stata accertata, in capo alla Named, una pratica commerciale scorretta ed inflitto alla stessa una sanzione amministrativa pecuniaria pari a € 250.000.

In particolare, la Named, attraverso una campagna di pubblicizzazione su canali comunicativi di vario tipo (internet, TV, stampa), aveva promosso la distribuzione al consumo di un integratore alimentare denominato “Immun’Age” (derivante dall’utilizzo della sostanza Carica Papaya, appartenente alla categoria dei cd. botanicals), vantando claims di carattere salutistico, in primis la sua efficacia quale coadiuvante nel (diverso) trattamento farmacologico di varie patologie gravi, quali il Parkinson, l’Alzheimer, l’AIDS, il cancro, ecc.

L’Antitrust riteneva che questo tipo di promozione pubblicitaria integrasse violazione delle disposizioni di cui agli artt. 20, comma 2, 21, comma 1, lett. b), 22 e 23, lett. s), del codice del consumo ed innestava, così, apposito procedimento istruttorio ad esito del quale veniva irrogata la predetta sanzione a carico della Named.

Il tutto, senza alcuna sorpresa, considerato che il terreno dei claims sulla salute per gli alimenti (categoria di cui gli integratori alimentari fanno parte) – in particolare quelli riferiti ai botanicals, che non hanno trovato ad oggi un’armonizzazione a livello europeo – è particolarmente scivoloso, specie se il concetto di salute viene associato, ancorché indirettamente, a quello di malattia; terreno ove è risaputo che l’Antitrust sia dotata di tolleranza pari a zero.

La Named ha impugnato la pronuncia avanti al TAR Lazio il quale, ad esito del processo e come sopra accennato, accoglieva il ricorso, annullando il provvedimento dell’Antitrust, ma facendo tuttavia salva la facoltà di quest’ultima di esercitare nuovamente (il che significa ex novo, con una nuova procedura) il potere sanzionatorio.

 

  1. La statuizione del TAR Lazio

Punto primo, il Tar Lazio aveva rilevato (con evidenze qui aggiunte) che:

– i messaggi pubblicitari utilizzati dalla Named non palesassero realmente una capacità ingannevole, in particolare in quanto: “(…) per il prodotto in esame, che rientra nella definizione di prodotti botanici (…) non si può individuare dalla normativa di fonte comunitaria richiamata dall’Autorità, alcun espresso divieto ai claim oggetto di valutazione”;

– il richiamo effettuato dall’AGCM al decreto del 9 luglio 2012 del Ministero della Salute, relativo ad una “lista provvisoria di claim autorizzati in Italia nel settore dei prodotti vegetali (…)” doveva considerarsi inconferente, dato che esso reca “(…) la diversa “Disciplina dell’impiego negli integratori alimentari di sostanze e preparati vegetali”, senza regolare i rischi di decettività dei relativi claim pubblicitari” e che, sulla scorta di ciò,

– qualora il decreto ponesse – come vorrebbe l’AGCM – divieti “automatici” per tutti i claim non espressamente inclusi in elenco, senza una idonea base normativa di rango primario prevista dal diritto dell’UE, lo stesso si paleserebbe illegittimo per violazione del diritto di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost. e dei Regolamenti europei in materia di indicazioni nutrizionali e salutistiche, e dovrebbe pertanto essere disapplicato dal Giudice.

Pertanto, secondo il TAR, la – asserita – decettività dei claims non poteva farsi discendere dalla loro mancata previsione nell’elenco provvisorio nazionale dei claims autorizzati per gli integratori botanicals, bensì da una valutazione sulla veridicità dei claim oggetto di valutazione, tenendo conto anche della documentazione scientifica prodotta dalla Named nel corso del procedimento, che la stessa AGCM ammette invece di aver ignorato non entrando nel merito”.

Il Tar accoglieva, quindi, il ricorso della Named Spa, lasciando comunque all’Antitrust la valutazione sulla riedizione del potere sanzionatorio, tenendo conto delle indicazioni discendenti dalle osservazioni contenute nella sentenza stessa, tra cui, ad esempio, la necessità di valutare compiutamente la documentazione scientifica che, seppur richiesta (come è d’uso fare da parte dell’AGCM prima di intraprendere il procedimento istruttorio), non è stata finanche considerata dall’Autorità.

Sul punto, si ricorda che la fondatezza scientifica è uno dei tre aspetti principali (unitamente alla veridicità ed alla comprensibilità, intesa come non ingannevolezza) di cui tenere conto nell’utilizzo di indicazioni nutrizionali e sulla salute, e gli operatori del settore alimentare che fanno uso di tali indicazioni dovrebbero giustificarle sotto il profilo scientifico.

Un’indicazione dovrebbe essere scientificamente corroborata, tenendo conto del complesso dei dati scientifici disponibili e valutando gli elementi di prova” (“considerando 17” del Regolamento CE n. 1924/2006).

Appare, perciò, quanto meno strano – se non discutibile – il fatto che l’AGCM, pur consapevole della rilevanza di tale aspetto per la determinazione anche della veridicità dei claims utilizzati e pur avendo richiesto le evidenze scientifiche e le prove documentali degli stessi in ordine agli effetti vantati, una volta ottenutele, essa non le abbia tout court considerate, ritenendo sufficiente, ai fini della determinazione di ingannevolezza e/o non veridicità dei claims medesimi, la loro mancata previsione nella lista provvisoria dei claims autorizzati in Italia nel settore degli integratori vegetali, nonché il fatto che gli stessi non risultassero aver ricevuto alcuna autorizzazione in quanto non sottoposti all’apposita procedura prevista dal Reg. (CE) n. 1924/2006.

L’AGCM, così, ha deciso di impugnare tale sentenza avanti al Consiglio di Stato, ritenendo infondatamente di poter ottenere, ad esito di tale giudizio d’appello, una riforma della stessa in senso confermativo dell’originaria pronuncia sanzionatoria.

 

  1. La statuizione del Consiglio di Stato

Ma si è sbagliata.

Secondo il Consiglio di Stato, l’AGCM non poteva giungere alla conclusione secondo la quale, per il prodotto in questione, si vedrebbe disattesa la necessaria attenzione che impone la disciplina comunitaria in materia di presentazione e pubblicizzazione degli alimenti di cui al Reg. (CE) n. 1924/06, considerato che – sempre a detta dell’Autorità – il professionista, nell’attività di promozione, ha attribuito al prodotto qualità e caratteristiche salutistiche che, non essendo oggetto di valutazione scientifica secondo l’iter comunitario previsto, devono ritenersi mendaci.

Infatti, è la stessa AGCM a chiarire che il prodotto in questione rientra nella categoria dei botanicals, per la quale categoria il Reg. (UE) n. 432/2012 e il relativo elenco dei claims ammessi non opera.

Sul punto, il Consiglio di Stato ha osservato ancora come appaia evidente, nel pensiero del legislatore comunitario, che la previsione di un registro nel quale siano contemplati tutti i claims autorizzati possa prevedere anche delle esenzioni, con la conseguenza che la non inclusione nel registro non costituisce, in assoluto, presupposto di illegalità dell’utilizzo di un claim non registrato.

Infatti, prosegue il Consiglio, nel Reg. (UE) n. 432/2012, al considerando 10, si legge che: “Tra le indicazioni presentate per essere sottoposte a valutazione la Commissione ne ha individuate diverse riguardanti gli effetti delle sostanze provenienti da piante o da erbe, comunemente denominate sostanze «botaniche», la cui valutazione scientifica non è stata ancora completata dall’Autorità (l’EFSA, in tal caso). Vi sono inoltre diverse indicazioni sulla salute per le quali si rende necessaria una ulteriore valutazione prima che la Commissione possa vagliarne l’inclusione o meno nell’elenco delle indicazioni consentite, così come vi sono indicazioni, già valutate, per le quali, a causa di altri fattori, il relativo esame non può essere completato dalla Commissione in questo momento”.

Peraltro, sempre il Reg. (UE) n. 432/2012, al considerando 11, stabilisce che “Le indicazioni la cui valutazione da parte dell’Autorità o il cui esame da parte della Commissione non sono stati ancora completati saranno pubblicate sul sito della Commissione e possono continuare a essere utilizzate a norma delle disposizioni di cui all’articolo 28, paragrafi 5 e 6, del regolamento (CE) n. 1924/2006”.

Ciò, a conferma dell’assenza di qualsivoglia presunzione di illegalità per i claims non inclusi nel registro perché non espressamente autorizzati.

Deriva da quanto sopra che utilizzare claims non rientranti tra quelli autorizzati dalla Commissione europea in relazione ad un prodotto riconducibile – per espressa indicazione dell’AGCM – alla categoria dei botanicals non può costituire il presupposto principale per sostenere l’antigiuridicità del comportamento di chi tali claims ha utilizzato.

Considerando, poi, la normativa nazionale di settore, il Consiglio di Stato ha ritenuto privo di pregio il richiamo effettuato dall’AGCM, al fine di rafforzare l’ipotesi dell’assenza di autorizzazione dei claims in questione, al decreto del Ministero della Salute 9 luglio 2012, il quale conterrebbe la lista provvisoria dei claims autorizzati in Italia nel settore dei prodotti vegetali (Decreto del 9 luglio 2012, recante “Disciplina dell’impiego negli integratori alimentari di sostanze e preparati vegetali” il cui allegato ripropone le “Linee Guida ministeriali di Riferimento per gli effetti fisiologici” con le indicazioni ad oggi transitoriamente autorizzate per gli integratori che apportano – tramite una specifica parte della pianta – sostanze e preparati vegetali).

Ciò in quanto, nel decreto stesso, non si evidenzia tale portata delle prescrizioni in esso contenute, visto che all’art. 1 è precisato che “Il presente decreto reca l’elenco delle sostanze e dei preparati vegetali ammessi all’impiego negli integratori alimentari” e che, nelle disposizioni successive, il ridetto decreto non fa in alcuna parte riferimento ai claims pubblicitari, oggetto dei due regolamenti comunitari sopra indicati (Regg. CE n. 1924/2006 e UE n. 432/2012) e assunti a parametro normativo dall’AGCM nel proprio provvedimento sanzionatorio, al fine di considerare antigiuridico l’utilizzo dei claims valevoli a reclamizzare il prodotto “Immun’Age”.

Scendendo, poi, nel merito dei messaggi utilizzati dalla Named, fermo restando quanto chiarito circa l’assenza di un divieto di utilizzo di claims con riferimento al prodotto in parola per mancanza di normazione comunitaria che disponga in tal senso trattandosi di botanical, il Consiglio di Stato non ha ritenuto integrata, dall’esegesi delle espressioni utilizzate dalla Named, una capacità ingannevole delle informazioni offerte al pubblico, né l’utilizzo di “terminologie non facilmente comprensibili per il consumatore medio impedendogli di percepire l’esatta natura del prodotto”, come aveva testualmente affermato l’AGCM nel provvedimento impugnato, anche segnalando non risultare confermate le amplissime proprietà salutistiche vantate nelle diverse comunicazioni commerciali.

Peccato, però, che l’AGCM non abbia ritenuto di voler neppure considerare – nel corso dell’istruttoria che aveva condotto all’adozione del provvedimento sanzionatorio – la copiosa produzione scientifica che deponeva per la reale sussistenza di proprietà positive nel prodotto, né la medesima Autorità ha dimostrato adeguatamente la idoneità dei messaggi ad indurre in errore il consumatore in ordine alle proprietà del prodotto, attesa l’attuale condizione di non assolutezza delle conclusioni scientifiche attinenti agli effetti positivi sulla salute dei cd. botanicals.

E su tale punto, comunque, il Consiglio di Stato ha osservato come nelle comunicazioni commerciali utilizzate dalla Named il riferimento più frequente fosse relativo al ruolo di “coadiuvante”, di “rafforzamento” e di “aiuto” alle fisiologiche difese immunitarie dell’organismo, che il prodotto “Immun’Age” può avere.

Riferimento che nemmeno al Giudice di secondo grado è parso oggettivamente idoneo a confondere il consumatore (di media cultura e dunque anche non necessariamente avveduto nello specifico settore) circa le proprietà del prodotto né ad indurlo all’acquisto dello stesso in ragione di asserite proprietà medicinali, mantenendosi il messaggio pubblicitario pur sempre nell’alveo della funzione “ancillare” e “coadiuvante” del suo utilizzo, anche in caso di presenza di patologie, rispetto alla terapia medico-farmacologica.

Il Consiglio di Stato, così, rigettando tutti i motivi di appello dell’Antotrust, ha confermato la sentenza del TAR Lazio, con la quale era stato accolto il ricorso di Named, proposto in primo grado.

Scacco matto all’AGCM e chiusura tombale della vicenda, anche sotto il profilo procedimentale, oppure un semplice scacco alla regina, seguito dalla riedizione del potere sanzionatorio da parte dell’Autorità?

Staremo a vedere.

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