avv. Valeria Pullini
Riaffrontiamo il tema della riforma Cartabia in ambito penale alimentare.
Come noto, tale riforma ha introdotto un meccanismo estintivo delle contravvenzioni in materia alimentare tramite l’inserimento degli articoli da 12 ter a 12 nonies nella Legge 283/1962. Questo sistema prevede una procedura specifica che consente l’estinzione di determinati reati contravvenzionali attraverso l’adempimento di prescrizioni e il pagamento di sanzioni ridotte. Tuttavia, la mancata applicazione di questa procedura da parte degli organi accertatori appare idonea a generare significative conseguenze sia sul piano processuale che sostanziale.
L’analisi di seguito condotta evidenzia come tale omissione determini la prosecuzione dell’ordinario iter procedurale penale.
Ci si dovrebbe chiedere, in tali casi, se il contravventore sia o meno privato di un beneficio previsto per legge e siano, quindi, configurabili (o meno) profili di illegittimità procedimentale.
Lo vedremo ripercorrendo, in primis, i punti salienti del meccanismo estintivo introdotto dalla riforma.
Il meccanismo estintivo introdotto dalla riforma Cartabia
La riforma Cartabia ha innovato profondamente la disciplina dei reati in materia alimentare, introducendo nella Legge 283/1962 un meccanismo che permette l’estinzione delle contravvenzioni alimentari attraverso una procedura basata su prescrizioni correttive e sanzioni ridotte.
Questo sistema si applica alle contravvenzioni in materia di igiene, produzione e vendita di alimenti e bevande, con l’esclusione di quelle punite con la sola pena dell’arresto (e di quelle in concorso con uno o più delitti), che si trovino nella fase delle indagini preliminari.
Il legislatore ha inteso così favorire la definizione anticipata dei procedimenti penali relativi a reati alimentari, privilegiando l’adempimento di prescrizioni finalizzate a ripristinare condizioni di sicurezza e conformità normativa rispetto alla mera punizione del trasgressore.
La procedura estintiva si caratterizza per la sua natura ripristinatoria e risarcitoria, mirando a elidere le conseguenze dannose o pericolose delle condotte illecite attraverso specifiche misure correttive.
L’organo accertatore, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, impartisce al contravventore un’apposita prescrizione, fissando un termine per la regolarizzazione non superiore a sei mesi (prorogabile in casi determinati).
Questa fase rappresenta il fulcro dell’intero meccanismo, poiché consente di rimuovere le situazioni di pericolo e interrompere attività potenzialmente dannose per la sicurezza alimentare e la salute pubblica.
Una volta adempiute tempestivamente le prescrizioni e verificato tale adempimento, il contravventore viene ammesso al pagamento di una somma pari ad un sesto del massimo della pena pecuniaria prevista per la contravvenzione.
Per i reati previsti dall’art. 5 della L. 283/62, le somme corrispondono a € 5.164,50 per le fattispecie di cui alle lettere a), b), c) e g), e a € 7.746,83 per i reati di cui alle lettere d) e h).
Il pagamento di questa somma comporta l’estinzione del reato, con conseguente richiesta di archiviazione da parte del Pubblico Ministero.
L’iter procedurale previsto dagli artt. 12 ter e segg. della L. 283/1962
La procedura delineata dagli articoli 12 ter e segg. della Legge 283/1962 prevede una sequenza precisa di atti e adempimenti che coinvolgono principalmente l’organo accertatore e il PM.
L’articolo 12 ter stabilisce i requisiti e le modalità di emanazione della prescrizione, mentre l’articolo 12 quater disciplina la verifica dell’adempimento e le conseguenze del positivo completamento della procedura estintiva.
L’iter procedurale inizia con l’accertamento del fatto illecito da parte dell’organo competente, il quale deve preliminarmente valutare la sussistenza delle condizioni per l’applicabilità dell’istituto estintivo.
In particolare, è necessario verificare l’assenza di un concorso delle contravvenzioni con uno o più delitti, non necessariamente attinenti alla salubrità degli alimenti e delle bevande, ma nemmeno a fatti assolutamente estranei ed eterogenei tra loro.
Questa valutazione preliminare è cruciale, poiché determina la possibilità stessa di accedere al meccanismo estintivo.
Accertata l’applicabilità della procedura, l’organo accertatore deve valutare se il danno o il pericolo causato dalla contravvenzione sia suscettibile di elisione mediante condotte ripristinatorie o risarcitorie.
In caso affermativo, ha il potere-dovere di impartire al contravventore un’apposita prescrizione, fissando un termine tecnicamente necessario per la regolarizzazione, comunque non superiore a sei mesi, ancorché in presenza di specifiche e documentate circostanze non imputabili al contravventore, il termine può essere prorogato, su richiesta, per un periodo non superiore a ulteriori sei mesi, con provvedimento motivato che deve essere immediatamente comunicato al PM.
Sospensione del procedimento e verifica dell’adempimento
Un aspetto fondamentale della procedura è costituito dalla sospensione del procedimento penale.
La norma prevede che “Il procedimento per la contravvenzione è sospeso dal momento dell’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’articolo 335 del codice di procedura penale fino al momento in cui il pubblico ministero riceve una delle comunicazioni di cui all’articolo 12-quater, commi terzo e quarto“.
Questa sospensione rappresenta una garanzia per il contravventore, che può concentrarsi sull’adempimento delle prescrizioni senza la pressione di un procedimento penale in corso.
Quando la prescrizione è adempiuta, l’organo accertatore ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari a un sesto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa oppure, in caso di impossibilità di adempiere al pagamento, il contravventore può chiedere di essere ammesso allo svolgimento di lavoro di pubblica utilità (art. 12 quinquies).
La centralità dell’organo accertatore nella procedura
Dal breve excursus sopra riportato si evince come l’art. 12 ter attribuisca un ruolo fondamentale all’organo accertatore, riconoscendogli competenze specifiche nell’individuazione delle misure necessarie per far cessare le situazioni di pericolo.
La norma stabilisce espressamente che “Per consentire l’estinzione della contravvenzione ed eliderne le conseguenze dannose o pericolose, l’organo accertatore, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all’articolo 55 del codice di procedura penale, ovvero la polizia giudiziaria impartisce al contravventore un’apposita prescrizione“.
La riforma si basa sulla premessa dell’esistenza di autorità di vigilanza e corpi specializzati nell’accertamento di reati alimentari, come le ATS/ASL e i Nuclei Anti Sofisticazione (NAS), capaci di prescrivere efficaci condotte ripristinatorie.
Questa specializzazione è considerata essenziale per garantire che le prescrizioni siano tecnicamente adeguate ad eliminare il pericolo e a ripristinare condizioni di conformità normativa, assicurando così un’efficace tutela dei beni giuridici protetti.
Da queste informazioni, si può dedurre che la riforma Cartabia abbia notevolmente ampliato le responsabilità procedurali e decisionali degli ufficiali accertatori, attribuendo loro un ruolo proattivo nel gestire le contravvenzioni in materia alimentare.
Essi non si limitano più al solo accertamento del reato, ma devono anche prescrivere le azioni correttive, monitorarne l’adempimento e gestire la procedura che può portare all’estinzione del reato stesso attraverso il pagamento di una somma ridotta.
Questa funzione richiede all’ufficiale accertatore non solo competenze giuridiche, ma anche una solida preparazione tecnica nel campo della sicurezza alimentare, necessaria per formulare prescrizioni efficaci e proporzionate alla violazione accertata.
La finalità delle prescrizioni, infatti, è duplice:
– elidere le conseguenze dannose o pericolose legate all’illecito e
– consentire l’estinzione del reato attraverso il ripristino delle condizioni di legalità.
L’organo accertatore deve quindi bilanciare l’esigenza di tutela della salute pubblica con l’interesse alla continuità delle attività economiche, esercitando i propri poteri nel rispetto del principio di proporzionalità.
Inoltre, la riforma risulta aver creato una maggiore interazione tra il sistema amministrativo (rappresentato dagli organi accertatori) e il sistema giudiziario (rappresentato dal PM), con l’obiettivo di favorire la rapida risoluzione delle violazioni minori e ridurre il carico sui tribunali e, così, trasformando il tradizionale paradigma di intervento, passato da un approccio meramente sanzionatorio ad uno di tipo preventivo-riparatorio, con conseguenti implicazioni operative e giuridiche per tutti i soggetti coinvolti nell’accertamento e nella gestione delle violazioni in ambito alimentare.
Alla luce di quanto sopra, in particolare della rilevanza del ruolo e degli impegni assunti dall’organo accertatore nel contesto che qui occupa, vi è da chiedersi cosa accada nell’ipotesi in cui l’organo medesimo ometta di aderire alla procedura estintiva di cui agli artt. 12 ter e segg. della L. 283/1962.
La mancata applicazione della procedura estintiva
Partiamo, anzitutto, dal dato normativo, in particolare dall’art. 12 sexies, dedicato alla disciplina dei casi in cui la notizia di reato pervenga al PM non dall’organo accertatore.
Se il PM prende notizia di una contravvenzione di propria iniziativa, ovvero la riceve da privati o da pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio diversi dall’organo accertatore e dalla polizia giudiziaria, il PM stesso deve darne comunicazione all’organo accertatore o alla polizia giudiziaria affinché provvedano agli adempimenti di cui ai sopra visti articoli 12 ter e 12 quater, sospendendo così il procedimento penale.
In tal caso, l’organo accertatore o la polizia giudiziaria informa il PM della propria attività senza ritardo e, comunque, non oltre 60 giorni dalla data in cui hanno ricevuto comunicazione della notizia di reato da parte del PM.
Al successivo art. 12 septies, comma 2, è stabilito che in tutti i casi poc’anzi visti, in cui il PM riceva la notizia di reato di sua iniziativa oppure da soggetti diversi dall’organo accertatore e dalla polizia giudiziaria, il procedimento penale riprende il suo corso (quindi, viene meno la sospensione summenzionata) quando l’organo accertatore con funzioni di polizia giudiziaria di cui all’art. 55 cod. proc. pen.[1] ovvero la polizia giudiziaria informa il PM che non ritiene di dover impartire una prescrizione; il procedimento penale parimenti riprende il suo corso anche alla scadenza del termine di cui all’art. 12 sexies (60 giorni) se l’organo accertatore o la polizia giudiziaria omette di informare il PM delle proprie determinazioni inerenti alla prescrizione.
Pertanto, quando l’organo accertatore o la polizia giudiziaria omette di applicare o non ritiene di applicare la procedura prevista dagli artt. 12 ter e seguenti della Legge 283/1962 di fronte a un reato contravvenzionale ai sensi dell’art. 5 della medesima legge, il primo e più immediato effetto che si genera è la prosecuzione dell’ordinario iter procedimentale penale, con tutti gli oneri e le potenziali conseguenze sanzionatorie che ne derivano.
Ma attenzione: a tale conclusione si perviene considerando l’unico specifico caso previsto ex lege (art. 12 sexies, L. 283/1962), ossia l’ipotesi in cui il PM venga a conoscenza della contravvenzione da soggetti diversi dall’organo accertatore; il che è il precipuo ed unico presupposto per l’applicazione delle conseguenze previste dal sopra riportato comma 2 dell’art. 12 septies.
Su tale preciso punto, si è pronunciata di recente anche la Corte di cassazione penale, Sezione III, con sentenza n. 16082 del 28.4.2025, la quale ha affrontato proprio un caso di esercizio dell’azione penale non preceduto dal meccanismo estintivo della contravvenzione, esprimendosi sulle relative conseguenze.
La Suprema Corte ha ritenuto di aderire all’indirizzo, ormai prevalente (in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro e in tema di reati ambientali), secondo il quale l’omessa indicazione delle prescrizioni di regolarizzazione non è causa di improcedibilità dell’azione penale.
In particolare – continua la Corte – il meccanismo previsto dall’art. 12 sexies della L. 283/1962, da un lato presuppone che il PM non abbia ricevuto la notizia di reato dall’organo accertatore, dall’altro non garantisce il risultato atteso: stando al dato normativo, nulla obbliga l’adozione delle prescrizioni; scaduto il termine di sessanta giorni dall’inoltro degli atti, il PM può procedere senza dover sindacare la (o chiedere conto della) inerzia dell’organo.
Ma, si ribadisce, tali osservazioni si inseriscono in un contesto caratterizzato dalla sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 12 sexies.
Poiché, però, la procedura estintiva della contravvenzione “alimentare” presuppone, di base, l’accertamento da parte dell’organo ispettivo cui compete formulare le prescrizioni, ne discende che la mancata impartizione di tali prescrizioni, sussistendone le condizioni di legge, quando sia l’organo accertatore a trasmettere al PM la notizia di reato, non dovrebbe condurre ai sopra visti esiti disciplinati dall’art. 12 septies, ossia la prosecuzione sic et simpliciter del procedimento penale, poiché mancherebbero i presupposti di applicabilità di tale norma.
In tal caso, quindi, dovremmo essere di fronte ad un’ipotesi di violazione della norma da parte dell’organo accertatore, nella specie l’art. 12 ter, comportante la configurazione dei seguenti vizi del procedimento (che vengono, comunque, proposti in via ipotetica, usando il condizionale).
Violazione del principio di legalità procedurale
La mancata applicazione di una procedura prevista dalla legge dovrebbe configurare una violazione del principio di legalità procedurale.
Gli artt. 12 ter e seguenti, infatti, delineano non una facoltà ma un dovere in capo all’organo accertatore, come si evince dall’utilizzo di termini imperativi nel testo normativo.
Sul punto, l’art. 12 ter stabilisce che l’organo accertatore “impartisce” al contravventore un’apposita prescrizione, indicando la natura cogente di tale adempimento.
Pertanto, la formulazione normativa dovrebbe suggerire che, in presenza dei presupposti previsti dalla legge, l’attivazione della procedura estintiva non sia rimessa alla discrezionalità dell’organo accertatore, bensì costituisca un obbligo procedimentale.
Di conseguenza, la mancata applicazione di tale procedura dovrebbe configurare un vizio del procedimento, potenzialmente rilevabile in sede di impugnazione degli atti successivi o mediante ricorsi amministrativi o giurisdizionali.
Lesione del diritto del contravventore alla definizione alternativa del procedimento
La riforma Cartabia ha introdotto una causa di estinzione del reato che rappresenta un beneficio per il contravventore, permettendogli di evitare le conseguenze più gravose di un procedimento penale attraverso l’adempimento di prescrizioni e il pagamento di una somma ridotta.
Ecco che la mancata applicazione di questa procedura priva il contravventore di un diritto riconosciutogli dalla legge, configurando una (potenziale) lesione della sua posizione giuridica.
Questa lesione appare particolarmente significativa, considerando che la riforma ha inteso favorire un approccio riparatorio e risarcitorio piuttosto che meramente punitivo.
Il contravventore che si veda negata la possibilità di accedere a questa procedura si troverebbe in una posizione deteriore rispetto a chi, nelle medesime condizioni, beneficia della corretta applicazione della norma, con evidenti profili di disparità di trattamento.
Implicazioni sull’efficacia dell’azione amministrativa
La mancata applicazione della procedura estintiva dovrebbe comportare implicazioni anche sull’efficacia dell’azione amministrativa nel settore della sicurezza alimentare.
La riforma Cartabia ha inteso favorire un approccio che privilegia la rapida eliminazione delle situazioni di pericolo e il ripristino di condizioni di conformità normativa rispetto alla mera punizione del trasgressore.
Pertanto, l’omessa (ingiustificata) applicazione della procedura prevista vanifica questi obiettivi, determinando un allungamento dei tempi procedimentali e un maggiore impegno di risorse nel sistema giudiziario.
Inoltre, verrebbe meno l’effetto deterrente e correttivo che la procedura estintiva intende realizzare, attraverso l’adempimento di prescrizioni specifiche finalizzate proprio all’eliminazione delle situazioni di pericolo per la sicurezza alimentare e la salute pubblica.
Possibili rimedi contro la mancata applicazione della procedura estintiva
Di fronte alla mancata – ingiustificata – applicazione della procedura estintiva ex art. 12 ter, L. 283/1962, il contravventore dovrebbe poter disporre di diversi rimedi per tutelare la propria posizione giuridica.
Sebbene la norma non tratti specificamente questo aspetto, è possibile delineare le principali opzioni disponibili sulla base dei principi generali dell’ordinamento e della natura della procedura in esame.
Un primo rimedio potrebbe consistere nella richiesta, da parte del contravventore, di essere ammesso all’oblazione di cui all’art. 162 bis cod. pen.[2], ovvero nella richiesta al PM, eventualmente all’esito della notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, di essere ammesso a pagare una somma di denaro pari ad un sesto del massimo dell’ammenda prevista per la contravvenzione (in tal caso, tuttavia, andrebbe dimostrata la previa eliminazione della situazione di non conformità integrante la contravvenzione, il che non sarebbe agevole in mancanza di apposite prescrizioni cui aderire pedissequamente).
Un’ulteriore ipotesi da considerare potrebbe essere la richiesta diretta al PM di sollecitare l’organo accertatore all’attivazione della procedura prevista dagli artt. 12 ter e seguenti, giustificata dalla natura cogente delle disposizioni normative e dall’esistenza dei presupposti previsti dalla legge per l’accesso al meccanismo estintivo.
Nel caso in cui tale richiesta non venisse accolta, il contravventore potrebbe sollevare la questione nell’ambito del procedimento penale, evidenziando il vizio procedurale rappresentato dalla mancata applicazione di un meccanismo previsto dalla legge.
Il giudice potrebbe valutare la rilevanza di tale vizio e, potenzialmente, disporre la sospensione del procedimento per consentire l’attivazione della procedura estintiva.
Conclusione
La mancata ed ingiustificata applicazione degli artt. 12 ter e seguenti della Legge 283/1962 da parte degli organi accertatori si ritiene determini significative conseguenze sul piano giuridico, procedurale e dell’efficacia dell’azione amministrativa.
Per contrastare questa problematica, appare necessario promuovere una maggiore conoscenza e consapevolezza della riforma tra gli organi accertatori, nonché sviluppare prassi operative che facilitino l’applicazione della procedura estintiva nei casi previsti dalla legge.
Solo attraverso una corretta e diffusa applicazione di questo meccanismo sarà possibile realizzare pienamente gli obiettivi di efficienza ed efficacia perseguiti dal legislatore con la riforma Cartabia.
[1] Art. 55 c.p.p. Funzioni della polizia giudiziaria
- La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale.
- Svolge ogni indagine e attività disposta o delegata dall’autorità giudiziaria.
- Le funzioni indicate nei commi 1 e 2 sono svolte dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria.
[2] Art. 162bis c.p., comma 1: Nelle contravvenzioni per le quali la legge stabilisce la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, il contravventore può essere ammesso a pagare, prima dell’apertura del dibattimento, ovvero prima del decreto di condanna, una somma corrispondente alla metà del massimo della ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento.